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Parola d'ordine: Riaprire in Sicurezza!

L’associazione “Le Cento Botteghe” che rappresenta le attività commerciali di Via Gioberti, oltre 150 tra negozi, servizi, botteghe storiche e locali di somministrazione, lancia il suo grido d’allarme: in sostanza affermano che bisogna riaprire subito, non oltre il 3 dicembre, ovviamente rispettando mascherine, distanziamenti e igiene, ma dobbiamo ricominciare a lavorare. Altrimenti ci aspetta un disastro e una mortalità sociale senza precedenti…

Il primo Centro Commerciale Naturale della città dichiara: “Comprendiamo perfettamente l’esigenza sanitaria e abbiamo accettato come tutti la chiusura durante il primo lock down chiudendo le attività. Poi con serietà e responsabilità le abbiamo riaperte - si legge nel comunicato - rispettosi di tutte le norme igienico sanitarie e investendo in sistemi e prodotti di sicurezza e igiene (…).”

“Abbiamo avuto fiducia nelle nostre Istituzioni e abbiamo immaginato che il Natale ci avrebbe in parte ripagato dei sacrifici di quest’anno. Abbiamo quindi acquistato e riempito i nostri negozi di prodotti e merci malgrado ci costasse molta fatica o addirittura non potessimo permettercelo, ma eravamo fiduciosi.
Oggi però ci sentiamo imbrogliati e sentiamo la nostra fiducia tradita, sentimenti che insieme alla paura non possono che sfociare in rabbia.
Non possiamo proprio comprendere quale pensiero abbia condotto alla stesura degli allegati 23 e 24 del DPCM del 3 Novembre che costringe alla chiusura nelle regioni rosse solo alcune categorie merceologiche.
 Sicuramente le categorie costrette a chiudere in base al suddetto decreto sono le meno necessarie, rappresentano beni superflui, non strettamente necessari o comunque non soggetti ad urgenza, ma nello stesso tempo si tratta prevalentemente di attività che non creano assembramenti o dove si possono comunque agire facilmente controlli e misure di contenimento dei rischi.
Inoltre il numero delle attività interessate dalla chiusura è davvero esiguo in rapporto a tutte le attività che restano aperte e facciamo fatica a credere che l’impatto di queste chiusure sui contagi e la circolazione del virus possa essere effettivamente rilevante. 
Riteniamo inoltre inaccettabili le modalità attraverso le quali in Toscana siamo passati in soli quattro giorni da zona arancione a zona rossa. Siamo rimasti attoniti, nessuno se l’aspettava e la notizia è stata data senza chiarezza e trasparenza, di fatto non sappiamo sulla base di quali dati sia stata presa questa decisione.” 

E prosegue: “Non è ammissibile non avere ancora un orizzonte chiaro rispetto al Natale, se almeno ci aveste detto che la chiusura di novembre serviva a salvare le vendite del mese di dicembre ci saremmo almeno potuti aggrappare alla speranza di recuperare. Ma corrono notizie davvero poco rassicuranti per non dire completamente folli come un’eventuale riapertura al 15 di dicembre, con lo scopo di affollare in quei nove giorni marciapiedi e negozi?
Evidentemente non avete nessuna idea del danno economico che un eventuale mancato Natale procurerebbe a chi ci ha già investito, sappiate che con i vostri ristori noi al massimo ci paghiamo qualche bolletta. 
Non volevamo sentire parlare di ristori a metà novembre, ma di strategie e disegni concreti per far fronte all’emergenza della seconda ondata di Covid che per quanto inaspettata nelle dimensioni non avrebbe dovuto cogliervi così impreparati.
 Noi eravamo pronti a fare ancora di più di quello che già stiamo facendo da mesi per limitare al massimo le possibilità di contagio nei nostri locali.
Lo siamo ancora ovviamente, disposti ad assumerci responsabilità e a trovare strategie alternative, orari ridotti, contingentamenti dei flussi, distanziamenti più rigidi, nuove regole.
Il commercio di prossimità è un attore sociale importante, trasmette valori, diffonde informazioni e costruisce senso di comunità, basterebbe ricercaste la nostra collaborazione e il nostro coinvolgimento. 
Abbiamo bisogno di riaprire al massimo il 3 di dicembre le nostre attività, non possiamo andare oltre.
 Di fronte agli spot di Amazon che imperversano in tv e che invitano a comprare in anticipo i regali di Natale ci sentiamo tanto piccoli e a rischio di estinzione”. 

Le Cento Botteghe chiedono in sostanza alle istituzioni nazionali di rivedere e correggere gli allegati 23 e 24 del DPCM del 3 novembre inserendo anche quelle categorie merceologiche escluse dalla lista.
Chiedono alle istituzioni locali un incontro per capire le loro posizioni su quanto espresso nella lettera. Lettera che si conclude con un mezzo avvertimento, quasi un ultimatum, sicuramente un’azione disperata: “sono molti gli esercenti che al 3 di dicembre sono intenzionati ad aprire anche se non autorizzati. Sono impauriti, disperati, sfiduciati e molto arrabbiati.

La palla ora passa alle istituzioni che oltre a dover gestire la pressione degli operatori sanitari iniziano a fare i conti con quella della società civile. Seguono aggiornamenti.

Dalla Tenda Rossa al Caffè San Marco: l'autunno sta arrivando

Fino a pochi mesi fa non passava giorno che si annunciassero a Firenze nuove aperture di locali e ristoranti. Non vorremo adesso accadesse il contrario, ma purtoppo l’aria che tira non è buona.

Prima la Tenda Rossa a Cerbaia, oggi il Caffè San Marco a Firenze
è giunto il momento di parlare chiaro e scegliere una linea nuova per affrontare la crisi che può diventare devastante per il tessuto sociale, la realtà economica e l’identità stessa della e delle nostre città.

Parole chiare sono uscite stamani dal Presidente Confesercenti città di Firenze, Santino Cannamela, che riassumiamo qui in un manifesto che somiglia molto ad un programma politico, quello che manca, quello che serve.

 

“La gravissima crisi che sta vivendo il settore pubblici esercizi e somministrazione, soprattutto, (ma non solo), nel centro cittadino conferma che con i costi di “gestione pre-covid” e i fatturati “post covid” è alquanto arduo trovare un nuovo equilibrio per restare aperti.

In assenza dei 15 milioni e passa di turisti pre-covid la forbice tra entrate ed uscite è cosi ampia che anche i cosiddetti “aiuti di stato” lasciano il tempo che trovano.

Occorre un repentino cambio di direzione nelle politiche da adottarsi.

1 - Basta aiuti a pioggia e di natura “assistenziale”: occorrono provvedimenti mirati (per esempio sulle città d’arte ad alta densità turistica) e di carattere strutturale (non più bonus).

2 - Riforma ammortizzatori sociali, destinando risorse solo alle attività davvero in crisi e in difficoltà, ed avendo ben presente la necessità di difendere il “lavoro” e non il “posto di lavoro” in quanto tale.

3 - Taglio del costo della manodopera, attraverso taglio contributi personale dipendente e cuneo fiscale.

4 - Prevedere nuove forme di flessibilità mercato del lavoro (voucher) soprattutto per attività stagionali, turistiche e del commercio.

5 – Stop Smart Working: il protrarsi di questa misura, soprattutto nel pubblico impiego, svuota le città e produce evidenti danni di carattere economico. La misura va ripensata in una ottica di maggiore equilibrio e responsabilità sociale.

6 - Cig e Blocco Licenziamenti: bene questi provvedimenti in una fase emergenziale, ma adesso non possiamo più perpetuare questa situazione di “blocco artificioso” del mercato.

 

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